Pale
e fuggano i malanni, scacciati dalle mie stalle.
e i numi delle fonti, e gli dei sparsi per tutti i boschi….”
Il tempio sul Palatino
I Palilia
Le feste di Pale, chiamate Palilia o Parilia, si celebravano il 21 aprile, al culmine della primavera. Durante queste celebrazioni i pastori accendevano grandi fuochi e li attraversavano saltando, a simboleggiare la purificazione e la rinascita attraverso le fiamme. Successivamente lo stesso giorno venne dedicato al Natale di Roma, facendo coincidere la sua fondazione con il giorno sacro alla dea della Natura. Troviamo ampie descrizioni dei Palilia nei testi di Ovidio, il quale partecipò personalmente alle celebrazioni cittadine di cui ci narra nei sui Fasti.
Nel rito urbano, che si festeggiava nella città di Roma, la vestale più anziana bruciava profumi sull’ara di Vesta e vi univa le ceneri di vitello, sangue di cavallo e steli di fave. Il sacrificio del vitello veniva compiuto in un’altra festività religiosa, le Fordicidia, durante la quale si sacrificava una mucca incinta al dio Tellus per propiziare l’abbondanza dei campi e la salute del bestiame. Il vitello veniva estratto dal grembo materno e bruciato. Il sangue di cavallo, invece, derivava dalla testa del cavallo di destra della biga vincitrice durante la festa dell’Equus October dell’anno precedente, sacrificato al dio Marte. Il vitello rappresentava colui che deve vedere la luce, la nascita, il cavallo simboleggiava colui che aveva vinto e regnava e le fave erano legumi sacri a Cerere, il frutto che moriva e dava vita ad una nuova pianta. Ritorna l’allegoria delle tre fasi della vita: nascita, crescita e morte. Le ceneri superstiti venivano poi gettate nei campi per fecondarli e propiziarne i frutti.
Il rito rurale, che si svolgeva nelle campagne, era celebrato dal pastore stesso. Egli preparava l’ovile e lo decorava con rami d’erba e una corona di alloro sul cancello. All’alba egli purificava le greggi, lavandole con acqua e accendendo un falò di paglia, rami di alloro, ulivo e zolfo. Gli scoppiettii provenienti dalle fiamme venivano interpretati come presagi positivi o negativi a seconda del suono prodotto. Dopodichè il pastore saltava attraverso le fiamme con il suo gregge e andava ad offrire torte di miglio e latte alla dea Pale. A questo punto la cerimonia procedeva con acqua di rugiada sulle mani del pastore che si rivolgeva ad oriente e recitava una preghiera a Pale per quattro volte, affinchè sia il pastore che il bestiame fossero liberati da tutti i mali e venissero assolti da tutte le colpe commesse contro la Madre Terra. I festeggiamenti si concludevano con ulteriori tre salti purificatori del pastore attraverso le fiamme, dopo aver assunto la bevanda burranica, una miscela di latte e vin cotto (sapa).