Cerere

“Dèmetra chioma bella, la Dea veneranda, nel canto
celebro prima, e la Dea dall’agil mallèolo, rapita,
come il tonante volle Croníde, dal Nume Edonèo,
lungi da Dèmetra, Dea datrice di pomi, Signora
delle stagioni, mentr’essa scherzava con l’altoprecinte
figlie d’Ocèano, e fiori coglieva sul morbido prato:
iridi, crochi, rose, viole, giacinti, e il narciso,
cui germogliò, ché fosse lusinga alla rosea fanciulla,
per compiacer Polidète — cosí volle Giove — la Terra:
fiore fulgente, brillante, miracolo a ognun che lo vegga,
sia dei mortali, sia dei Numi che vivono eterni:
ché dalla sua radice germogliano cento corolle,
e per il suo profumo fragrante sorride la terra,
alto sorride il cielo, sorridono i flutti del mare…”
A Demetra-Inni Omerici|Traduzione di Ettore Romagnoli
Il rapimento di Proserpina

La carestia e la permanenza ad Eleusi
Il dio Sole, impietosito, decide, di rivelare alla dea il piano di Giove e Plutone. Venuta a conoscenza della verità, Cerere è straziata dal dolore, abbandona l’Olimpo e vaga fino ai margini del mondo. Sentendosi tradita dalla sua stessa famiglia, cede alla vendetta impedendo alla terra di germogliare, così da far estinguere la razza umana, tanto cara agli dei per i suoi sacrifici. Mentre gli uomini cadono in carestia e subiscono la fame, la Madre Terra giunge ad Eleusi, sotto le spoglie di un’anziana signora. La figlia del re Celeo, vedendola triste, la conduce al cospetto di suo padre e della regina Metanira, la quale la accoglie come nutrice di suo figlio Demofonte. Cerere accudisce il bambino negli anni come se fosse suo, vedendo in lui la sua amata Proserpina. Vuole fare di lui un dio. Così lo nutre di nascosto con il nettare degli dei e cerca di donargli l’immortalità. Ma proprio prima di completare il rito viene scoperta da Metanira che si oppone alla trasformazione.
L’inganno di Plutone e la nascita delle stagioni
Delusa dai mortali, Cerere si rifugia nel tempio eretto per lei dagli stessi Eleusini, sul monte Callicoro, ancor più sofferente ora per la perdita anche di Demofonte. Gli uomini sono ormai decimati dalla carestia, ma la dea della fertilità non accenna a voler ridonare alla terra i suoi germogli. Giove capisce, allora, che l’unico modo per salvare la razza umana è di restituire Proserpina alla madre. Plutone acconsente, ma non senza inganno: prima di liberare la fanciulla le fa mangiare un chicco di melograno che la legherà per sempre al regno dei morti.
Quando Cerere riabbraccia sua figlia la gioia è infinita e la terra si riempe di frutti e di piante, ritornado rigogliosa in tutto il suo splendore. Ma ben presto la dea dei campi scopre che Proserpina è costretta a far ritorno negli Inferi ogni anno per un lungo periodo a causa del chicco di melograno ingerito. Così per i mesi in cui Proserpina abita l’Olimpo con la madre, Cerere permette agli alberi di fiorire e alla terra di germogliare, per poi renderla spoglia e arida tutte le volte che la figlia scende nell’Ade con il marito Plutone. È così che nascono le stagioni.